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giovedì 14 gennaio 2016

“E se fossi donna?…”


Una pagina bianca. E la penna scorre sul foglio con la stessa grazia di quell’immagine vista pochi istanti prima. Una donna. Che si inerpica sul grigio palo di lega ferrosa, volteggiando con grazia quasi a voler raggiungere il cielo. Il suo sguardo si  perde nella musica e le gambe avvolgono figure inimmaginabili. Pare gridare la propria rabbia seguendo le note dove basso e batteria  scandiscono un tempo insistente. E poi i violini, raccontati attraverso le mani che sembrano perdere la propria funzione prensile divenendo ali spiegate, mentre i capelli lunghi ondeggiano dalla nuca capovolta dove solo un piede ed una gamba, tesi, sostengono corpo e mente in un roteare leggero che evoca pace, equilibrio.
Una donna. Una donna come tante donne. Che ha trovato uno spazio di ricerca interiore in una disciplina, la pole dance, attraverso la quale potersi esprimere e poter esperire una moltitudine di aspetti di se stessa, sino a quel momento inimmaginabili.
La penna continua a scorrere catturata dall’immagine carica di emozioni di quella donna, percorrendo il  potenziale  processo di apertura che l’incontro con la pole dance può sollecitare. Il pensiero che scaturisce, potente quasi da far macchiare il foglio di inchiostro è: quanto è donna! La flessibilità del movimento ricorda le carezze di un femminile sempre più consapevole delle proprie potenzialità. Un grazia non solo acquisita con tecnica, ma scoperta o ritrovata attraverso quest’arte praticata con passione. Ciascuna donna infatti possiede dentro di sé parti differenti che esprime a proprio modo, o cela più spesso, nel profondo, a fronte della propria storia di vita che potrebbe non averne permesso uno sviluppo interiore adeguato ed equilibrato. Alcune donne e giovani donne faticano a  lasciare emergere ad esempio lati femminili sensuali e aggraziati, parti istintuali necessarie a portare nel mondo la propria voce e la propria presenza. Altre ostentano queste aspetti in un modo assolutamente difensivo e doloroso, creando un personaggio-di-donna stereotipato e distante dalla propria essenza. Altre ancora sono persino distanti dall’idea che già il solo fatto di essere biologicamente nate con una vagina e non con un pene (senza nulla togliere ai maschietti, beninteso) è sinonimo del fatto che profondamente siano sedimentate in loro, nel loro inconscio biologico e psichico, le stesse meraviglie che stanno contemplando nelle poler, rinunciando in principio, ad una ricerca attiva della propria personale essenza femminile.
Ed ecco che di fronte a questo panorama di carne plasmata dalla dedizione e dall’arte, questa donna sospesa che dà forma ad uno spazio, si incontra la domanda: chissà se posso trovare, risvegliare in me, quantomeno frammenti di ciò che osservo? Ciascuno trovi la forma di ricerca che preferisce, ovviamente. Ma la penna, col proprio inchiostro blu cielo, continua ad interrogarsi su quel volteggio, quel palo, quella donna. Osservandola non è oggettivamente assimilabile alla bellezza tipica delle copertine. Osservandola non ritrovi le forme classiche proposte da media e fotografie.  Ma ne cogli la trasformazione interiore ed esteriore cui la pole dance l’ha sottoposta. Una trasformazione e una continua mutazione che non è riservata a poche elette, ma è davvero per tutte. Un’occasione di incontro tra corpo e mente, ma direi anzitutto con la possibile attivazione di un processo che può portare all’incontro con una femminilità più consapevole che, riporta poi nel mondo, viene sorprendentemente riconosciuta proprio per la sua autenticità.
Ed ecco che la penna si ritrova non più a scrivere ma a disegnare con tratto deciso l’immagine del Brucaliffo che distendendosi verso Alice chiede distintamente: “cosa essere tu?”

NAIKE MICHELON: psicoterapeuta psicosomatica-ecobiopsicologia - Istituto ANEB.

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